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Un quarto d’ora con Carl Brave

  • Immagine del redattore: Visconti Dimezzato
    Visconti Dimezzato
  • 22 mar 2021
  • Tempo di lettura: 5 min




Ricci neri, camicia dallo stile inconfondibile e accento decisamente romano, così si presenta in videochiamata con noi Carlo Luigi Coraggio, in arte Carl Brave, senza però indossare i suoi caratteristici occhiali scuri e tondi. Tra una registrazione e un’altra, siamo riuscite a fare qualche domanda al cantautore trasteverino, ed è stato entusiasta di risponderci.

Hai già fatto interviste per giornali scolastici oppure abbiamo l’onore di essere le prime a poter dire per i corridoi di aver intervistato Carl Brave?

Siete le prime, siete assolutamente le prime.

Grandissimo onore!

Onore mio!

Le tue canzoni, per chi non è di Roma, sono come una guida della città. Da trastevere a Corso Trieste, con la tua musica nelle cuffiette sembra quasi di percorrere la capitale in pochi minuti, in sella ad un motorino con il vento tra i capelli. Tra tutte le zone e i punti di ritrovo giovanili che citi nei tuoi brani, a quale sei più legato e perché?

Ce ne sono tanti, ma uno a cui sono particolarmente legato è il Ponte Sisto, dove alla vostra età uscivo sempre insieme a tutti i miei amici. Poi anche San Calisto, Trastevere, Piazza Trilussa, Santa Maria… sì, questi sono i posti in cui ho vissuto di più, di cui poi parlo nei miei pezzi.

In “Regina Coeli” parli del tram 8, che percorre la linea Casaletto-Piazza Venezia. E’ uno dei mezzi presi maggiormente dagli studenti che frequentano il Visconti, ed è un po’ come se fosse la spina dorsale di Roma. E tu invece come arrivavi a scuola?

Spesso anche io inizialmente prendevo l’8, fino a che non mi sono fatto il motorino, da allora è stato il mio mezzo principale, anche se è da anni che prendo esclusivamente la macchina. Alla vostra età vivevo le classiche traversate in due in motorino sotto la pioggia il sabato sera.

Nel tuo ultimo album “Coraggio” ti ascoltiamo in chiave indie, ma anche rap, trap e pop grazie al contributo di elodie. Ti pesa l’etichetta di un solo genere musicale oppure riesci facilmente a spaziare? Bella domanda, generalmente sono contro le etichette ai generi musicali. La mia musica è appunto caratterizzata come hai detto da tanti sottogeneri: un pizzico di trap, uno “sputo” di rap, un po’ di pop e indie. E’ giusto non etichettare, ed io preferisco stare un po’ ovunque, in modo che in ogni playlist ci sia un pezzo di me.

A proposito di Elodie, negli ultimi anni hai collaborato con lei, con Franco 126, Elisa, Fabri Fibra, Francesca Michielin, Mara Sattei, tha Supreme, Emis KIlla, Frah quintale, Coez, Max Gazzé, Shablo e Marracash... insomma non si finisce piu. Se potessi scegliere di fare un singolo con un qualsiasi artista non italiano, anche del passato, chi sarebbe?

Domandone! Sono un grandissimo fan di Young Thug, un rapper americano, probabilmente sceglierei lui. Poi magari anche con Tupac: sono vecchia scuola, dovrei resuscitarlo però per avere questa opportunità!




Chi sta leggendo questa intervista ha dai 14 ai 19 anni, la stessa età che avevi tu quando dopo la scuola ti rifugiavi nel mondo del basket. Ora che fai sold-out nei palazzetti, avresti mai pensato da ragazzo di entrarci un giorno non da cestista?

In realtà no, io da sempre faccio rap, ho cominciato a scrivere a 13 anni, quindi la musica è sempre stata la mia seconda passione, ma sicuramente molto dopo il basket. Solo dopo essermi stufato del basket, sono andato a studiare musica a Milano, quindi dal momento in cui questa è diventata il mio obiettivo principale, ecco là ho sperato di riempire i palazzetti con i miei pezzi.

Con “Fratellì” porti nella tua musica il tema delle conseguenze che ha la droga sui ragazzi, che spesso purtroppo ingenuamente si avvicinano prestissimo a questo mondo. Cosa ne pensi? Altro domandone! (ride) Io consiglio di fare tutto con la testa. In quel pezzo volevo descrivere una situazione spesso osannata dagli artisti, che però nasconde sicuramente un’altra realtà. Magari all’inizio sembra bello,

particolare.... ma poi finisce sempre per sfociare nello squallore. Bisogna sapere che quella è una “roba” sbagliata, che ti può portare fuori strada e rovinare la vita.

Probabilmente da marzo a questa parte, in ogni intervista ti avranno sempre chiesto cosa ti manca di più della normalità perduta, e di come il covid19 abbia cambiato radicalmente le abitudini di tutti quanti. Prima della quarantena, avevi progetti in ballo che non vedevi l’ora di completare, oppure sei riuscito a portare a termine tutti gli obiettivi musicali che ti eri stabilito?

Allora, prima della pandemia avevo segnate delle date importanti che chiaramente sono saltate. In ambito dei live è saltato tutto, è stata “una pezza”. Nella scrittura invece, ahimè è servito il lockdown: mi ha dato una “botta” di ispirazione forte e sono riuscito a comporre cose nuove, con nuovi sound e mood, come ad esempio “Le Guardie”, che senza una “cosa pesante” come il lockdown non mi sarebbe mai uscita.

Quale pensi sia stata la qualità, tua o della tua musica, che ti ha fatto fare successo? Assolutamente il parlare della quotidianità. Parlo di cose inutili, piccole cose, che peró sono all’ordine del giorno, quindi il fatto che chiunque possa rivedersi nei miei testi nel suo piccolo.

I Tauro Boys, in un’intervista a HotMC, ti citano ricordando l’aiuto che gli hai dato all’inizio della loro carriera.Ci sono altri amici a cui hai dato una mano a sfondare nel panorama musicale italiano e chi invece ti ha affiancato quando eri ancora un’artista emergente?

Aiutavo a registrare i pezzi in studio, facendo il fonico dei Tauro Boys certo, ma anche del gruppo Tutti Fenomeni etc. Inizialmente ho lavorato affianco della “Love gang” e siamo cresciuti tanto insieme, arrivando dove siamo adesso.

Si è appena concluso il 71esimo festival di Sanremo, sei stato anche tu tra i 13 milioni di spettatori italiani che lo hanno seguito negli ultimi giorni? se si per chi tifavi? Hai mai pensato in un futuro, anche lontano, di presentarti come concorrente?

Sì l’ho seguito, ma non dico per chi tifavo (ride). Ovviamente dipende dal gusto personale, ma comunque sono stati tutti bravi ed è stato sicuramente difficile cantare senza un pubblico tangibile a condividere l’emozione del palco. Ho pensato di partecipare... ma sai, dipende molto dal pezzo che si ha pronto, non bisogna cadere nel tranello “faccio il pezzo sanremese”, perché potrebbe risultare controproducente: se decido di partecipare, mi presento con un pezzo stile mio. Quindi mai dire mai, “boh!”



Come ci hai detto prima, dopo la scuola hai frequentato il SAE Institute di Milano, da cui sei uscito produttore, c’è mai stata in passato una parte di te che ha preferito Milano a Roma? Se ho mai preferito Milano a Roma? No! A parte gli scherzi, a Milano sono stato molto bene: è chiaramente un posto più europeo, ci ho vissuto bene, in un’altra maniera però rispetto a Roma, che per me è proprio casa. Quando ero a Milano convivevo con una ragazza ed era la prima volta, quindi lì sono stato un po’ per la prima volta in tutto. Molto bella Milano, consiglio assolutamente.

Durante il momento di scrittura utilizzi la carta o sei in modalità digitale?

Ormai sono decisamente in modalitá digitale. Ho perso l’abitudine del carta e penna, in cui tutto è uno scarabocchio se sbagli: sul computer è decisamente piú semplice e ordinato.

Dai tuoi testi una cosa sicuramente ci è chiara, non sei astemio. Tra champagne, Chardonnay, Pinot e mezzi cocktail, sei più un tipo da karaoke post-serata oppure dichiarazione d’amore all’ex? Sono cascato più volte nella dichiarazione d’amore all’ex, ma in tempi andati: ho imparato la lezione, ora non ci casco più!

Per concludere vorremmo chiederti una cosa, ma le famosissime noccioline che ti sei finito dopo “le tre bire” nel pezzo “Noccioline”, erano davvero così buone?

Certo, dopo tre birre tutto è buono!


di Francesca Corelli e Margherita Finucci




 
 
 

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