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Primarie americane: il democratico che sfiderà Trump

  • Immagine del redattore: Visconti Dimezzato
    Visconti Dimezzato
  • 20 mar 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Il 3 febbraio l’Iowa, seguito dal New Hampshire e dal Nevada, ha aperto le primarie del Partito Democratico degli Stati Uniti, che stabiliranno chi sfiderà il presidente Trump il prossimo novembre. I 50 stati votano in giorni diversi, gli ultimi a giugno.

Ogni stato mette in palio un certo numero di delegati, assegnati ai candidati in base ai voti ottenuti alle urne. I delegati totali sono 3.979. Vince la nomination il candidato che ne ottiene la metà più uno, cioè 1.990. L’investitura ufficiale del vincitore avverrà durante la convention del partito, che si terrà a Milwaukee tra il 13 e il 16 luglio 2020.

I candidati democratici sono ben 11, ma è già chiaro che solo alcuni possono aspirare alla nomination.

Il partito è diviso principalmente in due fronti: quello moderato di cui fanno parte Joe Biden, vicepresidente durante l'amministrazione Obama che, nei pochi stati dove si è già votato, ha avuto risultati molto al di sotto delle aspettative, il multimiliardario Michael Bloomberg e il sindaco di un piccolo centro dell'Indiana Pete Buttigieg il quale, invece, ha ottenuto, inaspettatamente, buoni risultati; l'altro fronte è quello progressista dei senatori Bernie Sanders del Vermont, il vincitore di tutti e tre gli stati in cui si sono già tenute le primarie ed Elizabeth Warren del Massachuttes che ha invece sofferto la vittoria di quest’ultimo, che ha convinto parte del suo elettorato.

I Moderati propongono un mix liberale di politiche sociali inserite nell'attuale sistema economico americano, i Progressisti, la cui eventuale vittoria spaventa una grossa fetta degli americani, vogliono attuare un cambiamento radicale del sistema economico interno; i loro programmi volti a garantire quei diritti che in Europa sono dati per scontati, come la sanità gratuita o un'istruzione superiore accessibile a tutti, sono spesso etichettati come socialisti se non addirittura comunisti!

Nonostante ciò tutti i candidati hanno una convinzione comune: sostengono di condurre la campagna più efficace per battere Trump, principale obiettivo per l'elettorato democratico disposto a tutto pur di non vedere il magnate newyorkese alla Casa Bianca per altri quattro anni. Le due correnti hanno strategie opposte per vincere; infatti, se i Moderati sostengono di poter conquistare oltre ai democratici, gli indipendenti e i repubblicani che mal sopportano Trump per via del suo modo di fare volgare e aggressivo, i Progressisti puntano a portare al voto le minoranze e gli emarginati, in un paese dove alle ultime presidenziali l'affluenza è stata solo del 56%.

Fino a poche settimane fa, quasi tutti i sondaggi vedevano Joe Biden in testa ma il suo vantaggio è diminuito progressivamente in favore di Bernie Sanders che sta portando avanti una campagna "grassroot", ossia sostenuta dai movimenti di base creati da cittadini comuni che bussano alle porte, inviano messaggi, fanno chiamate e donano piccole somme. Il senatore infatti non accetta donazioni o sponsor da aziende e società. In questo modo sono stati eletti molti democratici alle elezioni per la camera del 2018, in cui i grassroots hanno dimostrato di essere capaci di coinvolgere milioni di persone.

Queste primarie 2020 si annunciano quindi particolarmente incerte e avranno più che mai un'enorme rilevanza internazionale poiché decretano lo sfidante dell'attuale presidente americano, il cui successo condizionerà la futura politica americana in particolare su importanti tematiche globali quali i cambiamenti climatici o le politiche d'intervento militare che ridisegnerebbero l'assetto geopolitico e ambientale del nostro pianeta nei prossimi anni.

di Giacomo Tarli

 
 
 

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