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Coronavirus tra panico e minimizzazione

  • Immagine del redattore: Visconti Dimezzato
    Visconti Dimezzato
  • 13 mar 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 19 mar 2020

Visto che prima di questa situazione surreale avevamo un numero pronto, la Redazione ha deciso di pubblicare un'anteprima del giornale che vedrete comunque in cartaceo, per non vanificare il lavoro fatto e soprattutto permettervi di leggerci. Dopo questa parentesi emergenziale, tornati a scuola, la soluzione digitale che abbiamo adottato verrà abbandonata, a meno che non si dimostrasse utile per finalità diverse che non possiamo prevedere.

Fatto questo chiarimento, ci ritroviamo a parlare di Coronavirus nonostante non se ne possa più, e saremo costretti a farlo ancora per molto. Anche perché le cose da dire e su cui riflettere sono tante, e non ci si è soffermati abbastanza su molte di queste. In tempi non sospetti, quando si è creato quel momento di panico, prima che il governo ci privasse del diritto alla libera circolazione, mettendo tutti ai domiciliari e chiudesse tutte le attività commerciali tranne tabaccai, supermercati e farmacie - giustamente o no bisogna prenderne atto - e di questi provvedimenti notavamo solo una vaghissima ombra, in quel periodo logicamente il Coronavirus sembrava la stronzata del secolo. La popolazione si era divisa in due fazioni: chi si era abbandonato al panico irrazionale costruito oculatamente dai media e dalla stampa, in cui erano cadute le istituzioni stesse, e chi considerava che la stampa disinformasse, la gente fosse in preda a un’ipocondria di massa e alla psicosi, saccheggiando supermercati e farmacie, e lo Stato, fragile nella presenza e incompetente nei provvedimenti, non facesse altro che incentivare idiotamente con le sue scelte il senso di terrore e smarrimento che pervadeva i cittadini. Ora che la gravità della situazione è quasi oggettiva, chi minimizzava al tempo è stato costretto a un totale, semi, o totalmente assente pentimento delle precedenti posizioni. Ma se la gente muore come mosche non si tratta sicuramente una blanda e innocua influenza stagionale.

Quel momento di panico, precedente a questo di barricamento nelle case, è stato molto grave, e la responsabilità della psicosi è da rimettere in gran parte ai giornali.

Indignarsi per l’innata abilità della stampa italiana a terrorizzare, ovviamente quanto paradossalmente disinformare e infine sgretolare (è successo dopo, e le colpe dei giornali in questo sono solo parziali e di superficie) l’andamento stesso della vita civile nel paese, oltre a essere utile per motivi di consapevolezza dello stato di salute dell’informazione può essere anche necessario. È ingenuo credere che esista ancora un’informazione di massa basata sui grandi rotocalchi, ma nei casi di panico diffuso, quello in particolare, se non le pagine addirittura cartacee, vere, dei giornali, le loro homepage erano tornate centrali.

Perché almeno a caldo, a primo acchitto il misto di sottile paura e curiosità al sentire parlare della diffusione di un’epidemia globale porta automaticamente a leggere i giornali, per istinto di sopravvivenza e autoconservazione.

Detto questo la stampa italiana ufficiale, che è tra i retaggi invecchiati peggio di una concretamente morta cultura pre-digitale, ha dato la prova migliore di come il presente e la realtà gli stiano come vestiti troppo larghi, di come i giornali vivano in un mondo distorto e separato da quella che è la stessa concezione di informazione e cultura (nella sua sfumatura più ampia) delle masse nazionali. Innervosirsi tanto e lamentarsi a ruota libera nell’editoriale del Visconti Dimezzato per un motivo che sembra così astratto può sembrare stupido tanto quanto il bersaglio della lamentela, ma gli aspettii più fastidiosi di questo psicodramma collettivo si radicano proprio nell’incapacità del giornalismo italiano contemporaneo di capire il mondo, o più probabilmente nella scelta arbitraria di massimizzare la confusione perché affamati di click, nella carestia di lettori che sta affrontando.

Per quanto riguarda la didattica a distanza, non sembra che nel caso del Visconti ci si possa lamentare, anzi. Ci sono scuole a Roma dove i malfunzionamenti e i disguidi tecnici hanno impedito del tutto l'inizio delle lezioni.

Speriamo finisca presto.

di Ismaele Calaciura Errante




 
 
 

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